L’etica nella direzione delle risorse umane: «must or should»

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Negli ultimi anni e con un’accelerata dal 2021 ad oggi, il mondo del lavoro ha subito trasformazioni significative condizionate soprattutto dalle contaminazioni dei cambiamenti sociali. Le “grandi dimissioni” ne rappresentano  l’emblema poiché intercettano fabbisogni nuovi e la voglia di cambiamento radicale nelle aspettative dei lavoratori; soprattutto tra i più giovani, sempre più attenti al work-life balance, andando oltre il modello retribuzione maggiore uguale soddisfazione.

I tempi cambiano e le aziende sono costrette a rivedere la propria attrattività verso i talenti alla ricerca di occupazione, ma soprattutto il proprio modello di retention verso i collaboratori. L’etica nella direzione e gestione del capitale umano diventa un aspetto cruciale per i datori di lavoro, non solo per catturare e preservare il proprio capitale umano, ma per assicurare la permanenza in un ambiente sano e produttivo.

Capita molto spesso di incrociare la lettura di iniziative su Linkedin relative ai team building più disparati, ovvero assistere ad iniziative certamente interessanti e aggreganti ma che se isolati rispetto ad una strategia gestionale, risultano essere nel migliore dei casi intuizioni, in altri meno fortunati tentativi grossolani di modernizzazione di contesti aziendali realizzati più come bandierina pubblicitaria che con una finalità specifica.

Senza necessariamente scomodare Hegel, l’incrocio tra la filosofia e la dimensione socio-culturale dell’individuo è sempre più attuale ai tempi d’oggi dove le aspettative di benessere si intersecano con la realizzazione personale dei valori moderni.

Il work-life balance è, perciò, divenuto un obiettivo irrinunciabile dai più, influenzando le scelte professionali dei lavoratori e condizionando persino le performance lavorative. I professionisti, soprattutto giovani  in particolare, aspirano ad un equilibrio tra il contesto lavorativo e la vita privata che consenta loro di dedicarsi anche ad altre passioni e responsabilità. Questo nuovo paradigma va quindi interpretato dalle politiche aziendali, che devono rieducare il senso della gestione delle risorse umane in virtù di queste aspettative nell’interesse di mantenere in azienda le persone.

L’etica nel contesto aziendale dovrebbe racchiudere principi e valori che definiscano il comportamento dei datori di lavoro e dei dipendenti. Essa implica la responsabilità di trattare i lavoratori con rispetto, equità e dignità. Un approccio etico nella gestione delle risorse umane non è solo una questione di conformità alle leggi, ma è anche una questione di cultura e valori aziendali. Ma attenzione: l’etica non riguarda soltanto la parte datoriale, troppo semplice scaricare solo sulle aziende la responsabilità della gestione delle relazioni. L’etica deve essere applicata anche dai lavoratori che con il loro approccio hanno l’onere di elevare i rapporti e l’identità aziendale, conservando nelle loro azioni un senso di responsabilità verso l’organizzazione di cui fanno parte ed a cascata rispetto ai soggetti che vi gravitano commercialmente. Ma devono o dovrebbero? Devono. Per responsabilità, trasparenza, diligenza e perché le aziende hanno bisogno di garantire risultati operativi.

Il tanto demonizzato ambiente di lavoro tossico non è un risultato esclusivo di conduzioni aziendali scellerate, ma può rivelarsi spesso la conseguenza di rapporti umani tra lavoratori non inclusivi, responsabili e trasparenti.

Promuovere un ambiente di lavoro inclusivo è un altro aspetto fondamentale dell’etica nelle risorse umane. Le aziende ed i lavoratori devono fare uno sforzo attivo e costante  per garantire che ogni individuo, indipendentemente da genere, razza, orientamento sessuale o background, si senta valorizzato e rispettato. Una cultura diversificata non solo arricchisce l’ambiente lavorativo, ma stimola anche l’innovazione, la creatività ed i risultati operativi.

Occorre inoltre ricordare che dal benessere degli ambienti lavorativi nasce il benessere della comunità in cui si opera. Questo può includere pratiche sostenibili, programmi di volontariato e supporto a iniziative locali, ma più in generale l’ impatto positivo sulla società diventa rilevante.

Tornando indietro di decenni, le colonie estive (a cui peraltro ho partecipato da bambino) organizzate ad esempio dalla vecchia Italsider di Dalmine o di Taranto, non erano nient’altro che la presa in carico di responsabilità sociali che andavano ben oltre il rapporto di lavoro e che miravano a sostenere il tessuto delle comunità locali per poi essere ripagati per attaccamento all’azienda e produttività.

Ai nostri tempi, un elemento chiave per migliorare il work-life balance è la proposta di politiche di lavoro flessibili: si chiamino smart working, orari di lavoro adattabili, etc. Le aziende che adottano queste pratiche dimostrano di comprendere le esigenze dei propri dipendenti, creando quel benessere mentale ai dipendenti che viene ritenuto essenziale, irrinunciabile sino a condizionare le scelte lavorative non più ad esclusivo interesse della condizione economica.

Il supporto all’individuo, oltre che al lavoratore, passa anche attraverso l’implementazione di  programmi di supporto alla salute mentale, come counseling professionale e attività di gruppo, al pari di mentoring e coaching che possono contribuire a creare una cultura di apprendimento continuo della formazione e dello sviluppo delle competenze. Offrire opportunità di crescita professionale non solo aumenta la soddisfazione lavorativa, ma dimostra anche che l’azienda si preoccupa del futuro dei suoi lavoratori.

Nonostante i benefici possano sembrare evidenti, l’implementazione di politiche etiche può incontrare resistenze più o meno manifeste, ma molte volte frutto di chiusura culturale dell’ambiente lavorativo, quindi diventa essenziale programmarle e misurarle, per comprederne  il successo ed eventualmente intervenire.

I contesti aziendali  che adottano queste pratiche non solo costruiscono una reputazione solida, ma contribuiscono anche a un futuro lavorativo più sostenibile e soddisfacente per tutti; in  questo paradigma, l’etica non è solo un’opzione, ma un imperativo strategico.