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24/05/2018
NOVITA’ IN MATERIA DI RAPPORTO DI LAVORO DAL 1° LUGLIO 2018
29/06/2018

La malattia del lavoratore subordinato è una delle cause previste dall’art. 2110 del codice civile che determina la sospensione del rapporto di lavoro per l’impossibilità del dipendente di svolgere la prestazione lavorativa. Il lavoratore colpito da malattia, dunque, ha diritto alla conservazione del posto di lavoro per un certo periodo di tempo, stabilito normalmente dalla contrattazione collettiva, noto come “periodo di comporto”.

La norma civilistica dispone che durante il periodo di comporto:

  1. i periodi di assenza sono computati a tutti gli effetti nell’anzianità di servizio;
  2. il lavoratore, in sostituzione della retribuzione, ha diritto alle relative indennità a carico degli enti previdenziali;
  3. per tutto il periodo di conservazione del posto di lavoro opera il divieto di licenziamento del lavoratore (salvo il caso in cui la motivazione del licenziamento sia riconducibile a una giusta causa), ne consegue che il datore di lavoro ha diritto di recedere dal contratto solo una volta che sia decorso tale periodo.

Il periodo di comporto nella contrattazione collettiva si può distinguere in due tipologie:

  • comporto secco o comporto unitario, si ha quando la conservazione del posto di lavoro è connessa ad un unico episodio morboso che determina un periodo continuativo di malattia;
  • comporto per sommatoria o frazionato, in tal caso il periodo di conservazione del posto di lavoro si ottiene sommando più periodi intermittenti di malattia dovuti ad eventi morbosi anche diversi tra loro; il comporto per sommatoria prevede un “periodo esterno”, ossia un arco temporale (es. anno solare inteso come periodo di 365 giorni) entro il quale la somma dei giorni di malattia non può superare un determinato limite, detto “periodo interno”.

Durata del periodo di comporto

La durata del periodo di comporto è normalmente stabilita dai contratti collettivi di settore e può essere riferita all’anno solare o all’anno civile (ossia l’arco temporale che va dal primo gennaio al trentuno dicembre). La stessa può essere diversamente stabilita anche in relazione all’anzianità di servizio del lavoratore che, come stabilito dalla Corte di Cassazione, rileverà al momento della verifica del superamento del periodo “protetto” e non già all’inizio della malattia.

Ai fini del computo del periodo di comporto, sia esso secco o per sommatoria, la giurisprudenza ha affermato che debbano essere conteggiati anche i giorni non lavorativi che ricadano nel periodo di malattia, ciò in quanto si presume che l’evento morboso sia continuativo e, dunque, devono essere tenuti in considerazione anche i giorni festivi.

Non si considerano invece:

  • le assenze per malattia dovute all’adibizione del lavoratore a mansioni incompatibili col suo stato di salute o alla nocività dell’ambiente di lavoro, con onere della prova, in tali casi, a carico del lavoratore stesso della violazione da parte del datore di lavoro del diritto alla tutela della integrità fisica e morale dei prestatori di lavoro previsto dall’art. 2087 del c.c.;
  • il congedo straordinario per cure concesso a soggetti con riduzione della capacità lavorativa pari o superiore al 50%;
  • periodi di assenza di malattia a causa di gravidanza o puerperio;
  • il periodo di aspettativa concesso successivamente a quello di malattia in quanto considerato “neutro”.

È previsto, dalla legge o dal CCNL, l’obbligo del datore di conservare il posto per periodi di tempo eccedenti il limite massimo del comporto quando il lavoratore sia colpito da malattia di particolare gravità; il lavoratore, in tale ipotesi, ha l’onere di informare dell’insorgenza e della natura della malattia da cui è affetto il proprio datore, prima che questi eserciti la facoltà di recesso.

Superamento del periodo di comporto

Il superamento del periodo di comporto non implica la risoluzione del rapporto in via automatica in quanto è rimessa alla volontà del datore di lavoro; qualora volesse esercitare la facoltà di recesso ha, comunque, l’obbligo del rispetto del periodo di preavviso.

Secondo un recentissimo intervento giurisprudenziale, in caso di avvenuto superamento del periodo di comporto, l’accettazione, da parte del datore di lavoro, della ripresa dell’attività lavorativa del dipendente non equivale di per sé a rinuncia al diritto di recedere dal rapporto e quindi non preclude (salvo diversa previsione della disciplina collettiva) l’esercizio di tale diritto, purché sussista un nesso causale fra l’intimazione del licenziamento ed il fatto (superamento del periodo di comporto) che lo giustifica.

L’onere della prova della sussistenza di tale nesso:

  • è a carico del datore di lavoronel caso di licenziamento intimato dopo un apprezzabile intervallo,
  • nel caso di licenziamento intimato tempestivamente rispetto alla riammissione in servizio, è onere del lavoratoreprovare che tale riammissione costituisce nel caso concreto una manifestazione tacita della volontà del datore di lavoro di rinunciare al diritto di recesso.

Tale criterio temporale che è, quindi, discriminante ai fini dell’onere della prova ha, peraltro, valore solo indicativo, spettando in definitiva al giudice del merito valutare la congruità o meno del tempo intercorso fra la ripresa del lavoro ed il licenziamento, avuto riguardo, in particolare, delle caratteristiche dimensionali ed organizzative dell’impresa.

Non è previsto alcun obbligo di natura contrattuale o legale che imponga al datore di lavoro di indicare nella busta paga anche i giorni non lavorativi che ricadono all’interno dei periodi di assenza per malattia, né di informare il lavoratore in malattia dell’approssimarsi della scadenza del periodo di comporto.

 

Peraltro, la giurisprudenza più recente (Cass. Sent. 1634/2018) ha affermato che il licenziamento per superamento del periodo di comporto è assimilabile non ad un licenziamento disciplinare ma ad un licenziamento per giustificato motivo oggettivo, motivo per cui riguardo ad esso si può parlare solo impropriamente di contestazione delle assenze, non essendo necessaria la completa e minuta descrizione delle circostanze di fatto trattandosi di eventi, l’assenza per malattia, di cui il lavoratore ha conoscenza diretta.

Ne consegue che il datore di lavoro non deve indicare i singoli giorni di assenza, potendosi ritenere sufficienti indicazioni più complessive, idonee ad evidenziare un superamento del periodo di comporto, come l’indicazione del numero totale delle assenze verificatesi in un determinato periodo, fermo restando l’onere, nelle eventuali sedi giudiziarie, di allegare e provare, compiutamente, ad esempio con i certificati medici, i fatti costitutivi del potere di recesso esercitato dal datore di lavoro.