NOVITA’ IN MATERIA DI RAPPORTO DI LAVORO DAL 1° LUGLIO 2018
29/06/2018
LA NUOVA GESTIONE DELLA REGOLARITÀ CONTRIBUTIVA CON LA DICHIARAZIONE PREVENTIVA DI AGEVOLAZIONE (DPA)
25/07/2018

Il 14 luglio 2018 è entrato in vigore il Decreto Legge n. 87/2018, noto come Decreto Dignità, mediante il quale sono state introdotte importanti modifiche in materia di lavoro, alcune in modo particolare riguardanti la disciplina del contratto a termine.

In attesa di precisazioni da parte del Ministero del Lavoro e dell’Inps, si espongono di seguito le disposizioni contenute nel decreto che dovrà essere convertito in legge, probabilmente con modifiche, entro 60 giorni dalla data di entrata in vigore.

 

  1. i) Contratto a tempo determinato

Le nuove disposizioni in materia di contratto a tempo determinato trovano applicazione:

  • ai contratti di lavoro stipulati successivamente all’entrata in vigore del decreto;
  • ai rinnovi ed alle proroghe dei contratti in corso alla data di entrata in vigore del decreto.

Le novità riguardano:

  1. la durata massima;
  2. la causale;
  3. il numero delle proroghe;
  4. il rinnovo;
  5. la contribuzione addizionale alla NASpI;
  6. i termini per l’impugnazione;
  7. la somministrazione a tempo determinato.

Durata massima e causale del contratto

La durata massima viene ridotta da 36 mesi a 24 mesi e legata alla presenza o meno di una ragione giustificatrice, ossia ad una “causale”. Viene stabilito, infatti, che il contratto può essere:

  • senza causale se di durata non superiore a 12 mesi;
  • con causale se maggiore di 12 mesi ma comunque non superiore ai 24 mesi.

Il decreto stabilisce che è possibile l’apposizione del termine maggiore solo in presenza di almeno una delle seguenti causali:

  • esigenze temporanee e oggettive, estranee all’ordinaria attività, ovvero esigenze sostitutive di altri lavoratori (come nel caso delle sostituzioni per maternità, malattia, infortunio);
  • esigenze connesse ad incrementi temporanei, significativi e non programmabili dell’attività ordinaria.

Fatte salve diverse previsioni dei contratti collettivi e con l’eccezione delle attività stagionali, la durata massima dei 24 mesi dovrà essere rispettata anche in caso di successione di contratti intercorsi tra lo stesso datore di lavoro e lo stesso lavoratore per lo svolgimento di mansioni di pari livello e categoria legale (durata massima per sommatoria).

Nel caso di superamento di tale limite, sia per effetto di un unico contratto che per effetto di una successione di contratti, alla data del superamento il contratto si trasforma da tempo determinato a tempo indeterminato.

Si ricorda che ai fini del computo di tale periodo si tiene altresì conto dei periodi di missione aventi ad oggetto mansioni di pari livello e categoria legale, svolti tra i medesimi soggetti, nell’ambito di somministrazioni di lavoro a tempo determinato (i rapporti di somministrazione devono essere calcolati a partire dal 18 luglio del 2012).

 

Proroghe e rinnovi

Il contratto può essere rinnovato solo in presenza di una delle causali previste dal decreto, ciò anche se il rinnovo avviene entro i primi dodici mesi dalla data del primo contratto.

Il numero massimo delle proroghe viene anch’esso ridotto, passando da 5 a 4 nell’ambito dei 24 mesi e a prescindere dal numero dei rinnovi contrattuali.

La proroga non richiede l’indicazione di una causale qualora avvenga nei primi 12 mesi, successivamente il contratto potrà essere prorogato solo in presenze delle sopra indicate esigenze. Se il numero delle proroghe è superiore, il contratto si trasforma in contratto a tempo indeterminato dalla data di decorrenza della quinta proroga.

 

La contribuzione addizionale alla NASpI

La legge Fornero aveva introdotto per tutti i contratti diversi dal tempo indeterminato una contribuzione addizionale pari all’1,40% della retribuzione imponibile ai fini previdenziali, al fine di finanziare la NASpI. Tale contributo è aumentato dello 0,5% in occasione di “ciascun rinnovo” del contratto a tempo determinato, anche in somministrazione, intervenuto a decorrere dalla data di entrata in vigore del decreto (14 luglio 2018) anche se la data di sottoscrizione del primo contratto a termine è antecedente.

 

I termini per la impugnazione

Il Decreto Dignità modifica il termine entro cui è possibile per il lavoratore impugnare il contratto a tempo determinato elevandolo da 120 giorni a 180 giorni dalla cessazione del singolo contratto.

 

La somministrazione a tempo determinato

Le suddette disposizioni troveranno applicazione anche al contratto di lavoro a tempo determinato tra somministratore e lavoratore, continueranno, invece, a non essere applicate le disposizioni in materia di limiti quantitativi e di diritto di precedenza. La contrattazione collettiva di settore potrebbe, comunque, intervenire per dettare diverse disposizioni.

 

  1. ii) Indennità di licenziamento ingiustificato

Il decreto interviene anche nell’ambito delle tutele in caso di licenziamento illegittimo previste dal D. Lgs. n. 23/2015 con il quale è stato introdotto il contratto a tutele crescenti, nello specifico viene incrementata l’indennità risarcitoria in caso di licenziamento non sorretto da un giustificato motivo oggettivo o soggettivo o da una giusta causa, riferibile ai lavoratori assunti a tempo indeterminato a partire dal 7 marzo 2015. Pertanto, nei casi in cui risulti che il licenziamento non sia assistito dagli estremi necessari, il giudice dichiara estinto il rapporto di lavoro alla data del licenziamento e condanna il datore di lavoro al pagamento di un’indennità, non assoggettata a contribuzione previdenziale, di importo pari a due mensilità dell’ultima retribuzione di riferimento per il calcolo del trattamento di fine rapporto per ogni anno di servizio, in misura comunque non inferiore a 6 mensilità (e non più 4) e non superiore a 36 mensilità (e non più 24).

 

iii) Limiti alla delocalizzazione e tutela dell’occupazione delle imprese beneficiarie di aiuti di Stato

Il decreto stabilisce che le imprese italiane ed estere operanti nel territorio nazionale che abbiano beneficiato di un aiuto di Stato che prevede l’effettuazione di investimenti produttivi ai fini dell’attribuzione del beneficio, decadono dal beneficio medesimo qualora l’attività economica interessata dallo stesso, ovvero un’attività analoga o una loro parte, venga delocalizzata in Stati non appartenenti all’Unione Europea entro 5 anni dalla data di conclusione dell’iniziativa agevolata. In caso di decadenza deve essere applicata anche una sanzione amministrativa pecuniaria consistente nel pagamento di una somma in misura da due a quattro volte l’importo dell’aiuto fruito.

In aggiunta è disposto che le imprese italiane ed estere operanti in Italia che abbiano beneficiato di un aiuto di Stato che prevede l’effettuazione di investimenti produttivi specificamente localizzati, decadono dal beneficio qualora l’attività economica interessata dallo stesso o una sua parte venga delocalizzata dal

sito incentivato in favore di un’unità produttiva situata al di fuori dell’ambito territoriale del predetto sito (in ambito nazionale, europeo e degli Stati aderenti allo Spazio economico europeo), entro 5 anni dalla data di conclusione dell’iniziativa o del completamento dell’investimento agevolato.

L’importo del beneficio da restituire per effetto della decadenza è, comunque, maggiorato di un tasso di interesse pari al tasso ufficiale di riferimento vigente alla data di erogazione o fruizione dell’aiuto, maggiorato del 5%.

Viene precisato che ai benefici già concessi o banditi, nonché agli investimenti agevolati già avviati prima del 14 luglio 2018 si applica la disciplina previgente.

Il decreto interviene anche in merito alle imprese italiane ed estere, operanti in Italia, che godranno, successivamente al 14 luglio 2018 di misure di aiuto di Stato che prevedono la valutazione dell’impatto occupazionale.

Con esclusione dei licenziamenti per giustificato motivo oggettivo, le suddette imprese, qualora, procedano alla riduzione dei livelli occupazionali degli addetti all’unità produttiva o all’attività interessata dal beneficio nei 5 anni successivi alla data di completamento dell’investimento, decadono dal beneficio in presenza di una riduzione dei suddetti livelli superiore al 10%.

La decadenza dal beneficio è disposta in misura proporzionale alla riduzione del livello occupazionale ed è comunque totale in caso di riduzione superiore al 50%.