Dimissioni per Fatti Concludenti: Il Ruolo Determinante della Contrattazione Collettiva

Prevenzione della Violenza e delle Molestie nei Luoghi di Lavoro
09/12/2025

Informativa lavoro del 9 dicembre 2025

 

La recente pronuncia del Tribunale di Milano del 10 novembre 2025 rappresenta un importante punto di svolta nell’interpretazione della disciplina delle dimissioni per fatti concludenti, chiarendo definitivamente il rapporto tra la normativa generale e la contrattazione collettiva nella determinazione dei termini di tolleranza per l’assenza ingiustificata del lavoratore.

La questione trae origine dall’introduzione dell’articolo 19 della Legge n. 203/2024, entrata in vigore il 12 gennaio 2025, che ha modificato l’articolo 26, comma 7-bis, del D.Lgs. n. 151/2015. Tale disposizione ha introdotto una nuova fattispecie giuridica che consente di qualificare come dimissioni volontarie l’assenza ingiustificata del lavoratore che ecceda un termine predefinito, stabilito principalmente dai contratti collettivi e, solo in via residuale, dal parametro legale di quindici giorni.

La ratio della norma si inserisce in un delicato equilibrio tra diverse esigenze: da un lato, contrastare condotte elusive spesso finalizzate a ottenere il licenziamento disciplinare e conseguentemente l’accesso alla NASpI; dall’altro, evitare che un comportamento inadeguato del lavoratore si traduca in una forma di espulsione automatica, priva delle opportune garanzie e cautele previste dal diritto del lavoro.

Nel caso sottoposto all’attenzione del Tribunale di Milano, una lavoratrice educatrice, dopo aver subito un deterioramento delle condizioni lavorative che aveva causato un grave crollo psicofisico, si era assentata dal servizio dal 7 gennaio 2025 fino al 20 gennaio 2025, informando telefonicamente la referente aziendale di non essere in grado di riprendere l’attività lavorativa. Tuttavia, la documentazione comprovante lo stato di malattia non era mai stata inviata all’azienda, con la giustificazione che il medico si trovava in ferie. Il 20 gennaio 2025, a seguito dell’assenza ingiustificata protrattasi per diversi giorni, l’azienda aveva comunicato alla lavoratrice la qualificazione della sua condotta come dimissioni volontarie di fatto. La lavoratrice contestava tale qualificazione, sostenendo che la disciplina sulle dimissioni di fatto non fosse applicabile in quanto il periodo di assenza non aveva superato i 15 giorni previsti dalla legge.

La società, in risposta, faceva valere il CCNL applicabile, che prevedeva una tolleranza di soli tre giorni per l’assenza ingiustificata prima di poter considerare la condotta del dipendente come motivo di licenziamento disciplinare.

Il Tribunale di Milano ha fornito una chiarificazione esaustiva e definitiva, affermando che ai fini dell’integrazione della fattispecie delle dimissioni di fatto, il termine di riferimento non corrisponde a quello legale di 15 giorni, ma a quello previsto dal CCNL applicabile. Solo in assenza di una specifica disposizione contrattuale si applica il termine legale di 15 giorni.

Questa interpretazione riconosce alle parti sociali la facoltà di stabilire una soglia di tolleranza in relazione alla durata delle assenze ingiustificate, che deve essere considerata come determinante per qualificare la condotta come dimissioni di fatto. Il legislatore, nel richiamare la contrattazione collettiva, ha voluto valorizzare il ruolo dell’autonomia collettiva nella definizione di parametri più aderenti alle specificità settoriali e alle esigenze organizzative delle diverse realtà produttive.

Un aspetto particolarmente significativo della pronuncia riguarda la trasformazione della qualificazione giuridica dell’assenza ingiustificata. Secondo il Tribunale, la nuova norma non fa altro che mutare la qualificazione giuridica delle dimissioni di fatto, trasformando l’assenza ingiustificata in un comportamento che manifesta la volontà del lavoratore di recedere dal contratto di lavoro, anziché costituire un presupposto per il licenziamento disciplinare.

 

Questa evoluzione si basa su un principio ormai consolidato nella giurisprudenza di legittimità: l’assenza ingiustificata non deve essere sempre considerata esclusivamente come un inadempimento disciplinare. In numerosi casi, essa può costituire un indicatore inequivocabile di abbandono del posto di lavoro, manifestando tacitamente la volontà del lavoratore di dimettersi.

La normativa mantiene comunque importanti garanzie per il lavoratore. La disposizione non si applica qualora il lavoratore dimostri l’impossibilità di giustificare l’assenza per causa di forza maggiore o per fatto imputabile al datore di lavoro. Inoltre, il comma in parola riconosce al lavoratore la possibilità di fornire prova dell’impossibilità di giustificare l’assenza per cause di forza maggiore o per fatti imputabili al datore di lavoro, introducendo così uno spazio minimo di valutazione individuale, anche nell’ambito di una presunzione legale.

Il datore di lavoro, previa comunicazione alla sede territoriale dell’Ispettorato nazionale del lavoro che avrà la facoltà di verificarne la veridicità, può risolvere il rapporto di lavoro per volontà del lavoratore. Questo meccanismo di controllo rappresenta un’ulteriore garanzia contro possibili abusi.

La pronuncia del Tribunale di Milano ha importanti riflessi pratici , in quanto diventa fondamentale prestare attenzione alla specificità delle previsioni del CCNL applicato nei diversi contesti aziendali, poiché il termine di riferimento per l’integrazione delle dimissioni di fatto può variare significativamente a seconda delle disposizioni contrattuali previste.

La best practice dovrà, quindi, prevedere:

  1. Verifica delle previsioni del CCNL di riferimento in materia di assenze ingiustificate;
  2. Assicurarsi che le comunicazioni all’Ispettorato del lavoro siano tempestive e complete;
  • Documentare adeguatamente le circostanze che hanno portato alla qualificazione dell’assenza come dimissioni per fatti concludenti.

I consulenti dello Studio sono a disposizione per ogni chiarimento utile.


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