L’art. 39 del D. Lgs. 151/2001 prevede in favore della lavoratrice e del lavoratore dipendente il diritto di fruire di riposi giornalieri per l’allattamento del bambino fino al primo anno di vita o del minore adottato o in affidamento entro un anno dall’ingresso in famiglia.
I riposi giornalieri per allattamento hanno la seguente durata:
La norma, volta a favorire la conciliazione tra la vita professionale e quella familiare, stabilisce inoltre che i riposi per allattamento devono essere considerati “ore lavorative agli effetti della durata e della retribuzione del lavoro”.
Tale previsione richiede una lettura coordinata con la disciplina della organizzazione dell’orario di lavoro riguardante il diritto alla pausa pranzo.
Nello specifico l’art. 8 del D. Lgs. 66/2003 stabilisce che: “qualora l’orario di lavoro giornaliero ecceda il limite di sei ore il lavoratore deve beneficiare di un intervallo per pausa, le cui modalità e la cui durata sono stabilite dai contratti collettivi di lavoro, ai fini del recupero delle energie psico-fisiche e della eventuale consumazione del pasto anche al fine di attenuare il lavoro monotono e ripetitivo”.
Il Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali, intervenuto per fornire chiarimenti in merito, ha evidenziato come il dettato normativo e la ratio della disposizione che stabilisce il diritto ad un intervallo per la pausa non sembrano lasciare dubbi in merito al riferimento ad un’attività lavorativa effettivamente prestata, ben diversa dalla fattispecie dei riposi giornalieri per allattamento, in cui il legislatore, volendo comprensibilmente riconoscere un favor alla lavoratrice madre o al lavoratore padre, ha inteso riconoscere le ore di permesso ai fini retributivi e del rispetto dell’orario (normale) di lavoro.
Pertanto, è da escludersi la possibilità di fruire della pausa pranzo, del buono pasto ovvero del servizio mensa al lavoratore padre o alla lavoratrice madre che, avendo fruito per la restante parte dell’orario di lavoro dei riposi orari giornalieri per allattamento, abbia effettivamente prestato l’attività lavorativa per meno di 6 ore, poiché le ore di permesso per allattamento non vengono computate nel calcolo dell’orario complessivo di lavoro ai fini del diritto all’intervallo. Nel caso sottoposto all’esame del Ministero, è stato espressamente escluso che, qualora la presenza effettiva della lavoratrice nella sede di lavoro sia stata pari a 5 ore e 12 minuti, non debba essere riconosciuto il diritto a fruire della pausa pranzo.
Conseguentemente, non si dovrà procedere alla decurtazione della durata prevista per la pausa pranzo della pausa pranzo dal totale delle ore effettivamente lavorate dalla lavoratrice.
Il Ministero del Lavoro in tal modo si allinea alle istruzioni fornite dall’Agenzia delle Entrate sull’argomento. L’Agenzia, infatti, ha chiarito che il buono pasto spetta per ogni singola giornata lavorativa in presenza di alcuni presupposti, precisamente:
L’Agenzia sottolinea come l’effettuazione della pausa e la prosecuzione dell’attività lavorativa dopo la stessa costituiscano presupposti imprescindibili per la concessione del beneficio, valevole per tutte le categorie di lavoratori.
Cordiali saluti.
Luigi Birtolo