LA CONCILIAZIONE EXTRAGIUDIZIALE A SEGUITO DI LICENZIAMENTO INDIVIDUALE

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La conciliazione è una procedura che ha la finalità di risolvere in via extra-giudiziale, ossia non in un’aula di tribunale, eventuali contenziosi sorti tra datore di lavoro e lavoratore a seguito di un licenziamento individuale.

Nel nostro ordinamento si possono attualmente distinguere tre tipologie di conciliazione post licenziamento, precisamente:

  1. la conciliazione facoltativa prevista dal c.d. Collegato Lavoro (L. 183/2010);
  2. la conciliazione obbligatoria in caso di licenziamento per giustificato motivo oggettivo prevista dalla L. 92/2012 (Legge Fornero);
  3. l’offerta di conciliazione (facoltativa) prevista dal D. Lgs. 81/2015 solo per gli assunti con contratto a tutele crescenti.

Conciliazione facoltativa

Con il Collegato Lavoro, dal 2010 il tentativo di conciliazione, dinanzi alla Commissione dell’Ispettorato Territoriale del Lavoro (sede amministrativa) o a quella prevista dal contratto collettivo (sede sindacale), è tornato facoltativo, non più necessariamente propedeutico al ricorso al tribunale. Così, in caso di controversia individuale, le parti possono rivolgersi o meno al giudice. La comunicazione della richiesta di espletamento del tentativo di conciliazione, proposta da una delle parti e accettata dall’altra, interrompe la prescrizione e sospende il decorso di ogni termine di decadenza per la durata del tentativo di conciliazione e per i 20 giorni successivi alla sua conclusione.

La procedura in sede amministrativa (prevista dall’art. 410 c.p.c.). inizia con la richiesta di tentativo spedita dal proponente sia alla controparte che all’ITL. Nella richiesta sono esposti i fatti e i motivi per cui la parte ha deciso di ricorrere alla conciliazione. Se la controparte accetta di conciliare allora, entro 20 giorni dalla ricezione della comunicazione, deposita la propria memoria difensiva. Nei successivi 10 giorni la Commissione dell’ITL fissa la data per la comparizione delle parti affinché trattino la conciliazione che dovrà tenersi nei successivi 30 giorni.

Se la conciliazione si conclude positivamente, viene redatto processo verbale sottoscritto dalle parti e dai componenti della Commissione. In seguito il verbale diventa esecutivo con decreto del giudice su istanza della parte interessata.

Se la conciliazione, invece, non si perfeziona, la Commissione deve comunque formulare alle parti una proposta per la bonaria definizione della controversia che queste possono accettare o meno. La mancata accettazione deve essere adeguatamente motivata, pena la valutazione del giudice in sede giudiziale. In caso di ricorso giudiziario devono essere allegati i verbali e le memorie concernenti il tentativo di conciliazione non riuscito.

La conciliazione in sede sindacale si tiene con le procedure previste dai contratti collettivi di lavoro e non di quella precedente. L’eventuale verbale di avvenuta conciliazione è depositato presso l’ITL a cura di una delle parti o per il tramite dell’associazione sindacale; solo in un secondo momento, il direttore dell’ITL lo deposita nella cancelleria del giudice del lavoro che, su istanza di parte, lo dichiara esecutivo con decreto.

Il tentativo obbligatorio di conciliazione

La Legge Fornero ha introdotto un tentativo obbligatorio di conciliazione nelle ipotesi di licenziamento per giustificato motivo oggettivo da parte di datori di lavoro i seguenti requisiti dimensionali:

  • più di 15 dipendenti nella singola unità produttiva o nell’ambito comunale;
  • oppure più di 60 nell’ambito nazionale.

Come ha affermato la Corte di Cassazione, si ricorda che il licenziamento per giustificato motivo oggettivo determinato da ragioni inerenti l’attività produttiva è una scelta riservata all’imprenditore, quale responsabile della corretta gestione dell’azienda anche dal punto di vista economico ed organizzativo, sicché essa, quando sia effettiva e non simulata o pretestuosa, non è sindacabile dal giudice quanto ai profili della sua congruità ed opportunità. È determinato per far fronte a sfavorevoli situazioni, non meramente contingenti, influenti in modo decisivo sulla normale attività produttiva, tanto da imporre una effettiva necessità di riduzione dei costi.

Il licenziamento, dunque, deve essere preceduto da una comunicazione effettuata dal datore di lavoro all’ITL del luogo dove il lavoratore presta la sua opera e trasmessa per conoscenza al lavoratore, contenente:

  • l’intenzione di procedere al licenziamento;
  • i motivi del licenziamento (ragioni inerenti l’attività produttiva…)
  • le eventuali misure di assistenza alla ricollocazione del lavoratore che possono facilitare la soluzione della controversia.

La comunicazione dei motivi che determinano il licenziamento individuale deve presentare caratteristiche precise in quanto l’imprenditore ha già individuato il soggetto nei confronti del quale esercitare l’azione di recesso; tutto questo, secondo principi di “correttezza” e “buona fede” ribaditi dalla Suprema Corte.

La Direzione territoriale del lavoro trasmette la convocazione al datore di lavoro e al lavoratore nel termine perentorio di 7 giorni dalla ricezione della richiesta; in caso di mancata convocazione entro 7 giorni, il datore di lavoro può procedere al licenziamento altrimenti l’incontro si svolge dinanzi alla commissione di conciliazione di cui all’articolo 410 del codice di procedura civile, come sopra descritto.

Le parti possono essere assistite:

  • dalle organizzazioni di rappresentanza cui sono iscritte o conferiscono mandato;
  • oppure da un componente della rappresentanza sindacale dei lavoratori (RSA o RSU);
  • oppure da un avvocato o un consulente del lavoro.

Se la commissione di conciliazione non riesce ad arrivare ad una composizione della controversia, essa è tenuta a redigere un verbale di mancato accordo da cui si deve desumere il comportamento tenuto dalle parti nella fase conciliativa in merito alle questioni sostanziali come:

  • eccezioni sollevate dal lavoratore o da chi lo assiste (es. licenziamento discriminatorio);
  • assoluta indisponibilità a trovare una soluzione di natura economica alla controversia;
  • accettare soluzioni alternative al recesso.

La mancata presenza di entrambe le parti produce un verbale di mancata comparizione e da ciò deriva la possibilità per il giudice di desumere argomenti di prova ex art. 116 c.p.c.

La conciliazione ha esito positivo se prevede:

  • soluzioni alternative alla risoluzione del rapporto, in questo caso la commissione procede alla verbalizzazione dei contenuti (si pensi, ad esempio, ad un trasferimento, alla trasformazione del rapporto da tempo pieno a tempo parziale) che divengono inoppugnabili, trattandosi di una conciliazione avvenuta ex art. 410 c.p.c.
  • la risoluzione consensuale del rapporto di lavoro, in questo caso la commissione ne darà atto attraverso il verbale riportandone tutti i contenuti, ivi compresi quelli di natura economica (es. TFR, lavoro straordinario, ferie non godute e somme ad accettazione del licenziamento) anch’essi inoppugnabili; inoltre si applicano le disposizioni in materia di Nuova Assicurazione sociale per l’impiego (NASpI) e può essere previsto, al fine di favorirne la ricollocazione professionale, l’affidamento del lavoratore ad un’Agenzia per il lavoro.

L’offerta di conciliazione

È stata introdotta dal decreto legislativo n. 23/2015, attuativo del Jobs Act in materia di contratto di lavoro a tempo indeterminato a tutele crescenti. È una procedura facoltativa che si applica esclusivamente per lavoratori:

  • assunti a tempo indeterminato dal 7 marzo 2015;
  • trasformati da lavoro a termine a tempo indeterminato dal 7 marzo 2015;
  • qualificati da un rapporto di apprendistato dal 7 marzo 2015.

Entro il termine di impugnazione stragiudiziale (60 gg) in una delle sedi abilitate a convalidare le rinunce e le transazioni in materia di lavoro (ITL, sedi sindacali, commissioni di certificazione), il datore di lavoro che abbia intimato il licenziamento nei confronti di un lavoratore assunto a tutele crescenti può offrire al lavoratore un importo che non costituisce reddito imponibile ai fini IRPEF e non è assoggettata a contribuzione previdenziale, di ammontare pari a una mensilità dell’ultima retribuzione di riferimento per il calcolo del trattamento di fine rapporto per ogni anno di servizio, in misura comunque non inferiore a 2 e non superiore a 18 mensilità. mediante consegna al lavoratore di un assegno circolare.

L’accettazione dell’assegno determina:

  • estinzione del rapporto alla data del licenziamento;
  • la rinuncia alla impugnazione del licenziamento anche qualora il lavoratore l’abbia già proposta.

Le eventuali ulteriori somme pattuite nella stessa sede conciliativa a chiusura di ogni altra pendenza derivante dal rapporto di lavoro sono soggette al regime fiscale ordinario, sarà necessario, pertanto, tenere ben distinti i diversi oggetti dell’accordo e le somme corrisposte.

Ove il datore di lavoro non superi i 15 dipendenti, per gli assunti dal 7 marzo 2015, le indennità e l’importo in caso di offerta di conciliazione sono dimezzate e non può in ogni caso superare il limite di 6 mensilità.

In caso di cessazione del rapporto di lavoro, qualunque sia l’esito della conciliazione, entro 65 gg. la comunicazione andrà obbligatoriamente integrata da un’ulteriore comunicazione da parte del datore di lavoro indicante l’avvenuta o non avvenuta conciliazione tramite la procedura “UNILAV – Conciliazione” sul portale di Cliclavoro, la cui omissione comporta la sanzione da 100 a 500 euro per ogni lavoratore.

Per espressa previsione del decreto il tentativo obbligatorio di conciliazione in caso di licenziamento per giustificato motivo oggettivo non si potrà applicare agli assunti dopo il 7 marzo 2015, data di entrata in vigore del decreto.

L’offerta di conciliazione dopo il Decreto Dignità

La conciliazione prevista dal D. Lgs. n. 23/2015 subirà le modifiche introdotte dal Decreto Dignità volte ad aumentare le soglie minime e massime dell’offerta. Infatti, nella fase di conversione in legge del decreto è stato previsto un innalzamento dell’importo minimo, che passa da due a tre mensilità, e dell’importo massimo che passa da diciotto a ventisette mensilità. Un meccanismo, dunque, rafforzato che incentiva in maniera decisa le parti a trovare un accordo in caso di licenziamento considerando l’esenzione da qualsiasi prelievo fiscale e contributivo della somma offerta ed accettata dal lavoratore.