La malattia del lavoratore subordinato è una delle cause previste dall’art. 2110 del codice civile che determina la sospensione del rapporto di lavoro per l’impossibilità del dipendente di svolgere la prestazione lavorativa. Il lavoratore colpito da malattia, dunque, ha diritto alla conservazione del posto di lavoro per un certo periodo di tempo, stabilito normalmente dalla contrattazione collettiva, noto come “periodo di comporto”.
La norma civilistica dispone che durante il periodo di comporto:
Il periodo di comporto nella contrattazione collettiva si può distinguere in due tipologie:
Durata del periodo di comporto
La durata del periodo di comporto è normalmente stabilita dai contratti collettivi di settore e può essere riferita all’anno solare o all’anno civile (ossia l’arco temporale che va dal primo gennaio al trentuno dicembre). La stessa può essere diversamente stabilita anche in relazione all’anzianità di servizio del lavoratore che, come stabilito dalla Corte di Cassazione, rileverà al momento della verifica del superamento del periodo “protetto” e non già all’inizio della malattia.
Ai fini del computo del periodo di comporto, sia esso secco o per sommatoria, la giurisprudenza ha affermato che debbano essere conteggiati anche i giorni non lavorativi che ricadano nel periodo di malattia, ciò in quanto si presume che l’evento morboso sia continuativo e, dunque, devono essere tenuti in considerazione anche i giorni festivi.
Non si considerano invece:
È previsto, dalla legge o dal CCNL, l’obbligo del datore di conservare il posto per periodi di tempo eccedenti il limite massimo del comporto quando il lavoratore sia colpito da malattia di particolare gravità; il lavoratore, in tale ipotesi, ha l’onere di informare dell’insorgenza e della natura della malattia da cui è affetto il proprio datore, prima che questi eserciti la facoltà di recesso.
Superamento del periodo di comporto
Il superamento del periodo di comporto non implica la risoluzione del rapporto in via automatica in quanto è rimessa alla volontà del datore di lavoro; qualora volesse esercitare la facoltà di recesso ha, comunque, l’obbligo del rispetto del periodo di preavviso.
Secondo un recentissimo intervento giurisprudenziale, in caso di avvenuto superamento del periodo di comporto, l’accettazione, da parte del datore di lavoro, della ripresa dell’attività lavorativa del dipendente non equivale di per sé a rinuncia al diritto di recedere dal rapporto e quindi non preclude (salvo diversa previsione della disciplina collettiva) l’esercizio di tale diritto, purché sussista un nesso causale fra l’intimazione del licenziamento ed il fatto (superamento del periodo di comporto) che lo giustifica.
L’onere della prova della sussistenza di tale nesso:
Tale criterio temporale che è, quindi, discriminante ai fini dell’onere della prova ha, peraltro, valore solo indicativo, spettando in definitiva al giudice del merito valutare la congruità o meno del tempo intercorso fra la ripresa del lavoro ed il licenziamento, avuto riguardo, in particolare, delle caratteristiche dimensionali ed organizzative dell’impresa.
Non è previsto alcun obbligo di natura contrattuale o legale che imponga al datore di lavoro di indicare nella busta paga anche i giorni non lavorativi che ricadono all’interno dei periodi di assenza per malattia, né di informare il lavoratore in malattia dell’approssimarsi della scadenza del periodo di comporto.
Peraltro, la giurisprudenza più recente (Cass. Sent. 1634/2018) ha affermato che il licenziamento per superamento del periodo di comporto è assimilabile non ad un licenziamento disciplinare ma ad un licenziamento per giustificato motivo oggettivo, motivo per cui riguardo ad esso si può parlare solo impropriamente di contestazione delle assenze, non essendo necessaria la completa e minuta descrizione delle circostanze di fatto trattandosi di eventi, l’assenza per malattia, di cui il lavoratore ha conoscenza diretta.
Ne consegue che il datore di lavoro non deve indicare i singoli giorni di assenza, potendosi ritenere sufficienti indicazioni più complessive, idonee ad evidenziare un superamento del periodo di comporto, come l’indicazione del numero totale delle assenze verificatesi in un determinato periodo, fermo restando l’onere, nelle eventuali sedi giudiziarie, di allegare e provare, compiutamente, ad esempio con i certificati medici, i fatti costitutivi del potere di recesso esercitato dal datore di lavoro.