INCENTIVO PER ASSUNZIONI
18/10/2017
LA TUTELA ASSICURATIVA NELLO SMART WORKING
21/11/2017

L’art. 2103 del c.c. afferma il principio della c.d. contrattualità delle mansioni, secondo cui il lavoratore deve essere adibito alle mansioni per le quali è stato assunto, ovvero quelle che sono state concordate fra le parti in sede di stipula del contratto di lavoro. In fase di assunzione, dunque, è fondamentale che il datore di lavoro indichi formalmente al lavoratore le mansioni che dovrà svolgere e le corrispondenti condizioni contrattuali relative all’inquadramento, ossia il livello e la qualifica (operai, impiegati, quadri, dirigenti).

La norma civilistica mitiga tale principio prevedendo il c.d. jus variandi, ossia la possibilità per il datore di lavoro di adibire il lavoratore in mansioni corrispondenti all’inquadramento superiore ovvero a mansioni differenti, purchè riconducibili allo stesso livello e categoria legale di inquadramento; in altri termini, è possibile esercitare lo jus variandi in senso verticale, assegnando mansioni superiori, o in senso orizzontale, all’interno dello stesso livello e categoria legale.

Laddove il lavoratore si trovi a svolgere, illegittimamente, mansioni diverse rispetto a quelle dedotte nel contratto individuale, l’ordinamento prevede per lo stesso la facoltà di ottenere mediante ricorso in via giudiziale:

  • il riconoscimento della qualifica e del livello superiore, oltre al riconoscimento delle differenze retributive o di altri trattamenti migliorativi, in caso di svolgimento per un certo tempo di mansioni superiori;
  • l’assegnazione alle mansioni contrattuali, oltre l’eventuale risarcimento del danno alla professionalità, nell’ipotesi di svolgimento di mansioni inferiori.

L’adibizione del lavoratore a mansioni inferiori, il c.d. demansionamento, era in via generale esclusa nella formulazione dell’art. 2013 c.c. previgente alla riforma del Jobs Act. La possibilità di modificare in peius le mansioni, era infatti limitata a talune fattispecie previste da leggi speciali ma con conservazione della retribuzione più favorevole[1], oppure nei casi di crisi aziendali per evitare il licenziamento.

Con il decreto legislativo n. 81/2015 sul riordino dei contratti di lavoro e sulla revisione della normativa in tema di mansioni, l’articolo 2103 del c.c. è stato mitigato nella sua rigidità. Fermo restando il divieto generale del demansionamento in quanto lesivo della professionalità acquisita dal lavoratore, la nuova formulazione della norma civilistica per la prima volta prevede esplicitamente la possibilità di adibire il lavoratore a mansioni inferiori, ma allo stesso tempo ne stabilisce i limiti.

Il demansionamento è legittimo, infatti, nelle seguenti ipotesi:

  • modifica degli assetti organizzativi aziendali, tale da incidere sulla posizione del lavoratore stesso (come, ad esempio, nel caso della soppressione del posto di lavoro a seguito delle procedure di razionalizzazione o di esternalizzazione di parte dell’attività);
  • previsione da parte dei contratti collettivi.

La norma pone, però, una condizione che consiste nel rispetto, in entrambi i casi, della categoria legale (operai, impiegati, quadri, dirigenti) a cui appartiene il lavoratore.

A titolo di esempio, ad un lavoratore con qualifica di contabile d’ordine classificato al livello quarto del CCNL Commercio e Terziario Confcommercio, potranno essere assegnate le mansioni di archivista, mansione appartenente al quinto livello, in conseguenza di una modifica degli assetti organizzativi, pur rimanendo il lavoratore nella qualifica contrattuale degli impiegati.

Nelle suddette ipotesi il mutamento delle mansioni deve essere comunicato per iscritto, a pena di nullità, con l’opportuna indicazione delle motivazioni pur nel silenzio della norma. È stabilito che il lavoratore demansionato ha, comunque, diritto alla conservazione del livello di inquadramento acquisito al momento della assegnazione alle nuove mansioni e del trattamento retributivo in essere, fatta eccezione per gli elementi retributivi collegati a particolari modalità di svolgimento della precedente prestazione lavorativa (ad es. indennità di cassa, di trasferta ecc.), che il datore di lavoro non è obbligato a mantenere.

Ove necessario, il demansionamento deve essere accompagnato dall’assolvimento dell’obbligo formativo da parte del datore di lavoro, il cui mancato adempimento non determina però la nullità dell’atto di assegnazione delle nuove mansioni.

Dal tenore letterale della norma si evince che la modifica in pejus può riguardare mansioni appartenente al livello di inquadramento immediatamente inferiore a quello cui appartiene il lavoratore, non è possibile cioè assegnare mansioni inferiori di più di un livello.

Una ulteriore novità introdotta nell’art. 2103 c.c. con la riforma del Jobs Act consiste nella possibilità per le parti, datore di lavoro e lavoratore, di sottoscrivere un accordo di modifica delle mansioni, della categoria, del livello di inquadramento (in questo caso anche per più di un livello) e della relativa retribuzione, nell’interesse del lavoratore:

  • alla conservazione del posto di lavoro,
  • all’acquisizione di una diversa professionalità
  • o al miglioramento delle condizioni di vita.

Rientra in questa ipotesi l’accordo finalizzato ad evitare il licenziamento, in quanto l’interesse preminente del lavoratore al mantenimento del posto del lavoro giustifica l’assegnazione a mansioni inferiori anche con più di un livello di sotto-inquadramento. Gli accordi di modifica delle mansioni possono essere sottoscritti in una delle seguenti “sedi protette”:

  • presso la commissione provinciale di conciliazione istituita presso la Direzione Territoriale del Lavoro (art. 410 c.p.c.);
  • in sede sindacale (art. 411 c.p.c.) o
  • in sede arbitrale, anche irrituale (art. 412 quater c.p.c.);
  • presso le commissioni di certificazione istituite in seno a:
  • gli Enti bilaterali;
  • le Direzioni Territoriali del Lavoro e le Province;
  • le Università pubbliche e private, comprese le Fondazioni universitarie, autorizzate;
  • il Ministero del Lavoro, Direzione generale della tutela delle condizioni di lavoro;
  • i Consigli provinciali dei consulenti del lavoro.

Il lavoratore può, comunque, in questi casi farsi assistere da un rappresentante dell’associazione sindacale cui aderisce o conferisce mandato o da un professionista abilitato (L.12/79)

Cordiali saluti.

Luigi Birtolo

 

[1] Ad esempio, il caso della lavoratrice in gravidanza le cui mansioni rientrino tra quelle a rischio in relazione allo stato oggettivo della stessa.